Si parla di effetto placebo quando vi è un potere curativo senza una "cura reale", è stato dimostrato scientificamente che basta l'idea di assumere una sostanza che può potenzialmente curare per ottenere un certo effetto terapeutico sull'organismo. I rimedi farmacologici possono quindi avere due effetti terapeutici, uno farmacologico vero e proprio, legato al principio attivo presente nel farmaco, e un effetto placebo, riconducibile al meccanismo derivante dall'idea che assumere una sostanza che ha un potere curativo fornisce di per se un "potere curativo". Per maggiori informazioni su questo fenomeno vi rimandiamo all'approfondimento sull'effetto placebo, di seguito esamineremo i risultati di uno studio che sembrerebbe aver identificato l'area cerebrale responsabile di questo processo.
Un gruppo di ricercatori, della Northwestern University di Chicago, ha esaminato i dati di diversi studi clinici condotti su persone affette da dolore cronico collegato all'artrosi del ginocchio. Dall'analisi è emerso che grazie ai placebo, più della metà dei pazienti, beneficiavano di un importante effetto analgesico. Con l'aiuto della risonanza magnetica funzionale, abbreviata RMF o fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), si è inoltre individuata l'area del cervello responsabile di questo fenomeno, il giro frontale medio. Un'informazione che conferma quindi il coinvolgimento cerebrale nell'effetto placebo. I risultati dell'indagine sono stati pubblicati su PLoS Biology (Brain Connectivity Predicts Placebo Response across Chronic Pain Clinical Trials - Doi: 10.1371/journal.pbio.1002570).
Pascal Tétreault, primo autore dello studio, spiega che questa nuova informazione è molto importante perché potrebbe migliorare i risultati degli studi clinici e, sopratutto nei casi di dolore cronico, permette di capire quali persone rispondono meglio ai placebo in modo da scegliere la migliore terapia personalizzata. Attualmente, in certi casi, si adoperano degli oppioidi per il trattamento del dolore cronico. Sapere in anticipo chi risponde meglio all'effetto placebo permette di ridurre il ricorso ad altre terapie che spesso non sono prive di effetti collaterali.
Marwan N. Baliki, coordinatore dell'indagine, fa notare che i dati raccolti sono relativi a casi "reali" utilizzabili direttamente nella pratica clinica. Gli studi condotti in precedenza avevano invece esaminato l'effetto placebo su campioni di persone sane e/o in condizioni sperimentali controllate.
Un altro interessante studio dimostra che si ha un effetto placebo anche quando una persona sa che sta assumendo un "falso farmaco" (un medicinale privo di principi attivi). Fino a non molto tempo fa si pensava che il placebo funzionasse solo quando i pazienti venivano "ingannati", in pratica credevano di essere curati realmente. Questa supposizione non ha però trovato riscontro in uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Harvard e dell'Università di Basilea (UNIBAS). Secondo i dati di questa indagine, pubblicata sulla rivista scientifica Pain (Is the rationale more important than deception? A randomized controlled trial of open-label placebo analgesia - Doi: 10.1097/j.pain.0000000000001012), in alcuni casi, se il soggetto viene preventivamente informato su quello che sta assumendo, il placebo sembra essere anche più efficace.
Lo studio ha coinvolto 160 volontari. Ognuno di essi doveva poggiare un braccio su una piastra, che si riscaldava progressivamente, e lo doveva lasciare su di essa fino a quando raggiungeva il limite della personale soglia del dolore. I partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi in base alla metodica di somministrazione della terapia per lenire il dolore: al primo gruppo è stata somministrata una pomata placebo facendo però credere che si trattasse di una pomata a base di lidocaina (un anestetico locale utilizzato in caso di ustioni e scottature), al secondo gruppo è stata somministrata sempre una pomata placebo ma senza "inganno". In questo caso i partecipanti sono stati anche informati, mediante una spiegazione di circa 15 minuti, sui possibili effetti benefici che il farmaco privo di principio attivo poteva avere in alcune persone. Infine, anche all'ultimo gruppo è stata data la crema placebo senza inganni ma, a differenza del secondo gruppo, non è stata fornita alcuna spiegazione sul possibile effetto.
Dall'analisi dei dati raccolti è emerso che il gruppo che ha ottenuto la riduzione maggiore della sensazione del dolore è stato il secondo. Spiegare i possibili effetti benefici derivanti da questo fenomeno fornisce quindi un effetto superiore rispetto alla somministrazione con inganno. Questo studio dimostra quindi che anche se si sa che non è un farmaco vero, l'effetto terapeutico è comunque presente. Fabrizio Benedetti, uno dei massimi esperti a livello mondiale in fatto di placebo e professore di neuroscienze e fisiologia all'università di Torino, spiega che per capire questo fenomeno si può pensare ad esempio a quello che accade quando si guarda un film dell'orrore. Anche se si sa che è tutto finto, si prova lo stesso paura e ci sono dei cambiamenti fisiologici quali: aumento del battito cardiaco, pelle d'oca, sudorazione, ecc.. Lo stesso accade con il placebo, anche quando si sa che è una sostanza inerte il solo fatto di prenderla fa stare meglio.
Quanto osservato nello studio pubblicato su Pain viene identificato in campo medico come placebo open label. Delle sostanze, e più in generale terapie, che risultano efficaci anche quando si sa che sono prive di principio attivo. Ci sono diversi studi che ne hanno confermato il funzionamento e, proprio per questo motivo, si stanno studiando possibili applicazioni in campo clinico per trattare diverse patologie. In questi casi non è sicuramente una pillola di zucchero o un po' di acqua a portare dei miglioramenti oggettivi in un paziente con sintomi reali, quello che conta è il contesto psicologico in cui si trova il soggetto. Il fatto di essere seguiti da un medico, le parole che vengono dette, l'ambiente ed eventuali strumenti, avviano dei meccanismi di aspettativa di miglioramento che contribuiscono ad attivare la produzione di alcune sostanze nel nostro cervello che possono far diminuire il dolore. I placebo, e in maniera etica i placebo open label, possono quindi trovare un impiego efficace in tutte quelle situazioni dove la componente psicologica è importante (gestione del dolore, performance motorie, ansia, depressione, ecc.).
Il placebo open label si sono dimostrati efficaci in diversi studi condotti, ad esempio, su pazienti con depressione, mal di schiena, rinite allergica e sindrome dell'intestino irritabile. Una meta-analisi molto interessante che ha indagato su questo effetto è quella pubblicata sul Journal of Evidence-Based Medicine (Effects of placebos without deception compared with no treatment: A systematic review and meta-analysis - Doi: 10.1111/jebm.12251). L'indagine che ha valutato l'efficacia di un placebo open label sul mal di schiena ha dimostrato che la sua somministrazione, in aggiunta alle terapie convenzionali, ha portato ad una riduzione del dolore percepito di circa il 30 per cento. In un'altra indagine, dove sono state coinvolte 80 persone con sindrome dell'intestino irritabile, un disordine della funzione intestinale caratterizzato da dolore addominale e difficoltà gastrointestinali anche molto gravi, la somministrazione del placebo open label è riuscita a tenere a bada alcuni sintomi e, in alcuni casi, i pazienti sono riusciti a migliorare notevolmente la qualità della propria vita. In tutte le patologie esaminate nello studio, il placebo ha mostrato un effetto sui sintomi statisticamente rilevante.
Se per alcuni medici ci possono essere delle possibili prospettive nell'utilizzo dei placebo open label, per altri, i risultati di questi studi dovrebbero far riflettere sul rapporto medico paziente. Bisognerebbe iniziare a riconsiderare i benefici terapeutici derivanti da un atteggiamento positivo del medico nel discutere con i propri pazienti.
Alla luce di quanto detto, si può quindi capire perché in alcuni casi l'omeopatia può funzionare. Non si può però pensare che questa pratica di medicina alternativa possa avere alcun effetto in caso di infezioni batteriche, virali o, più in generale, in tutte quelle situazioni dove la componente psicologica non è molto rilevante. Ad esempio, un antibiotico placebo non può uccidere i batteri, un anestetico placebo non è in grado di produrre un'anestesia generale e non si possono fermare, ne tanto meno far regredire, i tumori usando solo dei placebo. Un altro aspetto che può essere utile per comprendere la presunta efficacia delle terapie omeopatiche (per niente economiche se si considera il costo di una sostanza praticamente priva di principio attivo), è l'effetto placebo e la psicologia del prezzo (per maggiori informazioni potete andare alla sezione: effetto placebo e psicologia).
Tratto da: http://www.universonline.it/_scienza/articoli_med/17_10_30_a.php